Stamattina ho dato un esame, ieri mattina per voi. Anche questa settimana Furio è stato zittito perché non ho avuto tempo di scrivere e riscrivere.
L’esame era neuropsicologia del linguaggio, in pratica com’è che parliamo. La psicologia è stata indistinguibile dalla filosofia per un sacco di tempo, finché dei fisiologi nell’ottocento hanno detto: facciamone una scienza. E menomale. Filosofi, non ho nulla contro di voi. Ma il fatto che la psicologia sia una scienza la rende molto più interessante, con tutti quegli esperimenti.
Ve ne racconto un paio che ho studiato per questo esame che mi hanno fatta commuovere, perché sono così piagnona che sì, piango anche per degli esperimenti.
La voce umana, soprattutto quella della mamma, viene percepita, riconosciuta e memorizzata dal feto quando è dentro l’utero. È stato dimostrato con una sonda posta all’interno dell’utero che quando la mamma pronuncia una determinata parola il suono di essa è chiaramente differenziabile dal rumore di fondo, e che il feto reagisce ai suoni che conosce in modo diverso rispetto ai suoni sconosciuti. Lo sappiamo perché siamo stati in grado di misurare il battito cardiaco fetale. Il battito accelera quando ci sono suoni sconosciuti, se questi vengono ripetuti il battito ritorna ad un ritmo basale.
Anche appena nato il bambino è capace di distinguere i suoni delle lingue, infatti fino a sei mesi di vita può distinguere i suoni di tutte le lingue del mondo. Ad un anno riesce a farlo solo per le lingue a cui è esposto. Siamo programmati dalla nascita per parlare qualsiasi lingua. Siamo riusciti a dimostrarlo misurando la frequenza di suzione, attraverso cioè dei ciucci tecnologici.
Vi racconto l’ultimo. Jaques Mahler ha studiato, grazie alla tecnica della topografia ottica, la capacità di 12 neonati di età compresa tra i 2 e i 5 giorni di riconoscere suoni linguistici. Ci sono state tre misurazioni. Durante la prima misurazione i neonati ascoltavano una storia raccontata da una donna nel tono che solitamente si usa con i bambini piccoli. Durante la seconda misurazione ascoltavano la storia ma al contrario, dall’ultima alla prima parola. Durante la terza misurazione c’era un periodo di silenzio equivalente alla durata della storia. I risultati hanno mostrato un chiaro aumento di flusso cerebrale nell’emisfero sinistro unicamente durante la presentazione della storia secondo il normale ordine delle parole. I neonati sono pronti per il linguaggio nell’istante della nascita, se non addirittura prima.
Parlare se ci pensate è difficilissimo, è un compito cognitivo complesso. Eppure lo impariamo da bambini, in modo automatico, secondo tappe precise. Parlare è nei nostri geni, di tutti. Anche le persone sorde parlano, attraverso le lingue dei segni che attualmente sono 121, e sono estremamente affascinanti da studiare.
Amedeo parla moltissimo e si arrabbia tanto quando non lo capisco. Sembra che ora sia la sua cosa preferita, parlare. La mia vita è migliorata molto quando ho deciso di pagare una psicologa per poter parlare di me un’ora alla settimana, avevo paura di non sapere cosa dire e invece è difficile fermarsi quando finisce l’ora. Parlare con Luca è facile e difficile, dipende dai giorni e dagli argomenti, ma è quello che ci tiene insieme. Sono convinta che se mai arriverà il giorno in cui finiremo le parole tra di noi, finirebbe anche il nostro amore. Quando rivedo le mie amiche dopo un sacco di mesi, a volte anni, capisco che va tutto bene perché riprendiamo il discorso esattamente dove lo avevamo lasciato. Parliamo come se non avessimo mai smesso di farlo.
Se smettiamo di parlare tra noi, smettiamo di essere umani. Questo ho capito studiando per questo esame, speriamo sia andato bene.
Vi abbraccio,
Francesca
Le cose che hai scritto mi hanno fatto pensare alla mia esperienza di educatore musicale per l'infanzia. Se ci pensi, anche la musica è una lingua. Il canto della mamma e del papà è immediatamente riconoscibile dal bambino. Grazie per la bella lettura!
Ma che bello questo numero!
Per qualche motivo, mi ha ricordato una raccolta di racconti, Mezzanotte d’amore di Michel Touriner, in cui una coppia decide di lasciarsi non perché non aveva più parole da scambiarsi, ma racconti. Forse sono quelli.