Ieri ho finito la seduta con la psicologa e non mi è bastata un’ora, dopo. Di solito basta, so che un’ora è il tempo che mi serve dopo, e invece ieri non è bastata quell’ora, ci è voluto tutto il giorno. Tutto il mio giorno pianificato, le mie ore di studio, il pilates. Non ho messo neanche le cuffie, non ho ascoltato musica.
Tu fai tante cose, ci sono persone che nella vita lavorano ma non fanno niente, tu non lavori ma fai tante cose. Mi chiedo, in quante di queste cose ci metti emozione?
Ho visto tutte le cose che ho fatto, di corsa. Quante volte mi sono tuffata di testa in acque che sembravano mare ed erano solo riflessi.
In quante di queste ci ho messo emozione?
La prima reazione è sempre la difesa. In tante, in tante ci ho messo emozione. Non ci ho forse messo emozione fino a qui? Mi sembrava di sì.
Ma io non mi dico bugie.
Erano le emozioni di altri? Sogni presi in prestito che sembravano veri. Sogni indossati come abiti che ti devono piacere per forza, sono quelli che indossano le persone che ce l’hanno fatta. A fare cosa poi chissà.
C’è una parte di me che vuole aiutare. Per questo studio. C’è una parte di me che vuole solo scrivere.
Perché scrivo? Scrivo per fermare. Per fermare le parole, le emozioni, i pensieri, le coordinate, i momenti, le sensazioni, i ricordi, la nostalgia. Scrivo per fermarmi finalmente, scrivo per stare. Scrivo per raccontare ad altri, per farmi capire, per entrare nelle loro cellule, per far saltare il banco. Per guardarci negli occhi, nella pelle, nel cervello, nella pancia, nelle mani e vedere che abbiamo toccato, respirato, assaggiato le stesse cose perché siamo uguali. Scrivo perché le mani vanno velocissime sui tasti e non è la penna ma è la tastiera che funziona meglio, risponde ai miei pensieri. Scrivo da casa e scrivo da un bar. Scrivo anche quando non scrivo, quando cammino e mi vengono le parole, quando corro e arrivano sulla punta della lingua e non le voglio far scappare via. Cerco di ricordarle perfette come sono arrivate e ogni tanto ci riesco e ogni tanto no.
E allora fallo, no? Scrivi, cazzo. Invece. L’unica cosa che dovrei prendere sul serio, non ci riesco. Lo faccio perché c’è questa newsletter, lo faccio dicendomi che è un passatempo, che non è importante, non lo metto nel mio calendario. Lo faccio solo quando non ne posso fare a meno. Non si scrive solo quando c’è l’ispirazione, si scrive sempre. Anche quando l’ispirazione non c’è, si scrive di un posacenere, di una mela, di un alluce.
Certo scrivere. Non è semplice, soprattutto quando non sai che cosa scrivere. Mi sono sempre chiesta come arrivano le storie nella testa di uno scrittore. Una storia intera, grande, enorme come un libro. Come ti viene in testa? e poi devi renderla reale, devi scriverla. Scrivere è come costruire cose, è come un manovale. Per avere a che fare bene con le parole bisogna lavorare con le mani e tornarci, non è che se le scrivi poi vanno bene così, alla prima. No tu le devi rifinire, solo con le parole scopro di avere pazienza.
Le parole sfuggono e tu vorresti dare loro la forma di un bel vaso magari fatto con il vetro di Murano, che io non ho mai visto, Murano intendo, sono stata molte volte a Venezia ma mai a Murano e neanche a Burano ma ho visto dei video degli artigiani che lavorano il vetro e soffiano e escono oggetti trasparenti e colorati come mi immagino sia dare materia ad un arcobaleno. Lavorare le parole è così però alle volte, molte volte, non viene fuori un bel niente, solo un grumo di materiale che non ha nulla di poetico.
Ho pensato adesso stai, anche se scrivi grumi di parole marroni da buttare. Stai anche se scrivi parole che hanno già scritto in migliaia. Stai ferma qui e scrivi di posacenere, mele e alluci. Senza fretta, senza tuffi, senza corse. Stai.
Vi abbraccio,
Francesca
Ti prego stai. Perché sei bravissima
Bellissima, come sempre!