L’altra sera ero nel letto di Amedeo, aspettavo che si addormentasse. La maglia del mio pigiama si era tirata su, forse mentre mi muovevo o mentre gli raccontavo una storia. Lui ha messo una mano sul mio stomaco, ha sentito che la maglia era su e l’ha tirata giù sino a coprirmi la pancia. Non ha detto nulla, era già mezzo addormentato. Ha ripetuto un gesto che io ho fatto con lui milioni di volte, perché la pancia deve sempre essere coperta.
Piango per molte cose inutili, piango per cose anche assurde almeno agli occhi degli altri, di chi riesce a tenersi l’acqua dentro gli occhi. Io non ci riesco mai, mannaggia alle volte mi tornerebbe utile riuscirci. Ma l’altra sera in un momento come quello avrei dovuto piangere e non ho pianto, mi sono stupita e stavo per mettermi a ridere molto forte e poi sono riuscita a stare zitta, ma avevo un sorriso che probabilmente se qualcuno l’avesse visto avrebbe pensato inquietante.
A chi mi chiede quando lo fai un altro rido in faccia e dico mai. Le persone si sorprendono. Sei sicura mi chiedono, lo lasci solo. Io rispondo che se ne facessi un altro li lascerei orfani e loro non sanno se sto scherzando o no ma preferiscono credere che stia scherzando e ridono, io rido e loro, rassicurati, finalmente stanno zitti. Chi mi conosce un po’ meglio dice sei sicura, sei brava con i bambini. È vero ma i bambini non sono i tuoi figli. Chi mi conosce davvero non dice niente.
Mi avevano detto vedrai che dopo 40 giorni dal parto starai meglio. Mi ricordo il tempo che era diventato solido. Pensavo quaranta giorni sono troppi io non ce la faccio non credo di farcela davvero. Poi sono arrivati e non è cambiato nulla. E poi è vero, migliora. Poi peggiora. Poi migliora.
Credo che Amedeo fosse nel mio destino, un figlio lo si ama di un amore violento. Non ho provato tutti gli amori del mondo quindi non posso dire che è un amore unico, però è come un filo rosso che lega il tuo cuore al suo. Lo lega con un arpione che entra nella carne. All’inizio questo filo è cortissimo, non ci si può separare anche se tu vorresti così tanto. Vorresti così tanto in alcuni momenti la distanza, la libertà, le braccia libere da quel peso costantemente addosso, vorresti il tuo corpo che è tuo e non suo, vorresti prendere un aereo e andare lontanissimo lo vorresti ma non puoi. Perché quando ti allontani e lui è piccolissimo e quel filo è nuovo nuovo e quell’arpione è appena entrato nel cuore allora quando tira fa un male mai sentito. E stare attaccati è assieme bello e alle volte terribile.
Quando lui cresce cresci anche tu e quel filo rosso diventa più lungo. Riesci a riprenderti un po’ di spazio, vedi lui che si prende il suo. Prima è il pavimento della cucina, poi il corridoio, poi il parco sotto casa. Poi arriva il momento in cui lo lasci per la prima volta. Quando l’ho lasciato per la prima volta al nido l’arpione che ho nel cuore ha fatto un male profondo, lui piangeva e mi sono detta l’arpione fa male anche dalla sua parte, in quel cuore piccolo, troppo piccolo, sono una madre di merda, che ci faccio qui in questo asilo nido? Poi un bel respiro, arpione fai male ma quel filo si deve allungare per me e per lui. Amedeo il secondo giorno ha pianto poco, la curiosità di quel posto nuovo, di quei volti nuovi e di quei giochi nuovi era una forza nuova e potente e ho pensato che forse nel suo cuore non c’era un arpione come nel mio ma un gancio più piccolo, come una spilla da balia che andava meno in profondità, che faceva meno male perché altrimenti come avrebbe fatto a sopportarlo?
La prima volta che ho preso l’aereo da sola lasciandolo dall’altra parte l’arpione ha scavato un buco che sanguinava e faceva paura e mi faceva sentire in colpa come mai mi ero sentita in colpa nella mia vita. Mi mancava l’aria. Volevo solo tornare indietro e dire scusa non sono pronta non lo sarò mai. Da sola nel letto di una città troppo lontana da lui desideravo solo abbracciarlo fortissimo e dirgli mai più mamma non andrà via mai più lo giuro. Poi un bel respiro e mi sono detta goditi questa cosa che hai desiderato tanto, lui sta bene è con suo padre ed è felice perché lui gli fa mangiare tutte le cose che tu non vuoi e gliele fa mangiare tutte assieme lo stesso giorno.
Nell’amore le parole sono importanti, ma i gesti di più. Quando Amedeo mi ha detto ti voglio bene la prima volta o quando mi ha detto you’re my best friend sono stata felice. Ma quando l’altro giorno mi ha coperto la pancia e ho sentito la sua mano preoccuparsi che la mia maglia del pigiama fosse al suo posto ho sentito la cura che non va solo in una direzione, da me a lui, ma che ora comincia a scorrere su quel filo rosso e va avanti e indietro. Ho riso perché ha funzionato mi sono detta, hai funzionato. Gli hai insegnato la cura e ora devi andare avanti e sarà facile e poi difficile e poi facile e poi.
Quella sera ho riso ma ora piango. Immagino quel filo, il mio arpione e la sua spilla da balia e quanto è necessario che quel filo si allunghi perché se si allunga e a lui non farà male allora avrò fatto un buon lavoro e il mio arpione invece farà sempre un po’ male. Credo che sia questo alla fine per me essere una mamma, essere felice del nostro filo lungo e del mio arpione e fare tanti bei respiri ogni volta che si deve allungare.
Come adesso, mentre leggete sarò in viaggio verso Irene per passare il fine settimana assieme e l’arpione comincia a fare male già da adesso che lo sto scrivendo e farà male quando salirò sull’aereo e sarà un dolore sordo, in sottofondo ma un dolore che si può sopportare, ogni volta di più. E dopo, quando si torna, riannodare il filo con un abbraccio e un mamma urlato troppo forte rimette tutto a posto come quella prima volta dopo il nido che ho visto i suoi occhi e il suo sorriso dirmi lo sapevo che tornavi, torni sempre.
Vi abbraccio,
Francesca
Amo il modo in cui scrivi 🤩
Ciao 😊 io non ho figli ancora, quindi non posso sicuramente capire al 100%, però ti ringrazio perché con questa lettera sei riuscita a trasmettere un frammento di ciò che provi e a far sentire anche a me la stessa emozione 🤍